Crisi economica e principi morali
- di Don Raffaele Pettenuzzo
I. Introduzione
La crisi economica e finanziaria, che stiamo attraversando, ci chiama a una riflessione profonda sui principi morali, che sono o non sono più il fondamento della nostra vita.
Però non solo. La crisi attuale ci invita a livello comunale, regionale, nazionale e internazionale, a una seria e concreta analisi sulle cause e sulle possibili soluzioni di natura religiosa, politica, economica e tecnica. Ossia la crisi «ci obbliga, [aveva sottolineato Benedetto XVI,] a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative».[1] Nello stesso tempo i leader del Gruppo dei 20, nella Dichiarazione adottata a Pittsburgh nel 2009, avevano affermato: «La crisi economica ci dimostra l’importanza di introdurre una nuova era di Attività Economica Globale sostenibile, radicata nella responsabilità».[2]
Pertanto, che cosa si può dire a questo punto? Se ogni azione sociale o una Dichiarazione – come quella adottata a Pittsburgh nel 2009 dal Gruppo dei 20 – implica una precisa dottrina, il cristiano non può ammettere un programma che suppone una filosofia materialistica e atea, che non rispetti né l’orientamento religioso della vita verso il suo fine ultimo che è Dio, né la libertà, né la dignità della persona umana.
Di conseguenza, la riflessione, che voglio presentare, vuole essere “un appello”, a tutti gli uomini di buona volontà, a fare una scelta di responsabilità non solo nei confronti dell’oggi, ma anche – perché penso sia oramai troppo tardi e il dado, quindi, è già stato lanciato [“Alea iacta est”[3]] – di saper scegliere nei confronti delle generazioni future, affinché non si perda la speranza e la fiducia nella libertà e nella dignità della persona umana. Infatti, tutti noi, ogni singola persona e ogni comunità di persone, siamo responsabili del bene comune: fedeli oppure infedeli alla nostra fede cristiana.
Siamo, dunque, chiamati a partecipare oppure a remare contro (non rispondendo alla nostra vocazione di cristiani) «a quell’ingente sforzo con il quale, nel corso dei secoli, [gli uomini hanno] cerca[to] di migliorare le proprie condizioni di vita, corrisponde[ndo in questo modo] alle intenzioni di Dio».[4]
II. Lo sviluppo economico e le disuguaglianze imperversano
La grave crisi economica e finanziaria, che nel Mondo e in Italia oggi stiamo vivendo, trova la sua origine in diverse cause. Su queste cause ci sono alcune teorie:
– alcuni sottolineano i tanti errori nelle politiche economiche e finanziarie;
– altri insistono sulle debolezze strutturali delle istituzioni politiche, economiche e finanziarie;
– altri, invece, attribuiscono le cause all’immoralità diffusa a tutti i livelli, nel quadro di un’economia mondiale dominata dal calcolo e dal materialismo.
In ogni caso nello sviluppo della crisi si riscontra, sempre, una combinazione di errori tecnici e di responsabilità morali, mentre sappiamo bene che il lavoro umano in tutte le sue forme pone un limite concreto alla quantità dei beni materiali e dei servizi, determinando i costi e i prezzi. Tuttavia, in materia monetaria e in materia finanziaria – per chi comanda su tutto il sistema terra-acqueo – le dinamiche sono o alcuni hanno voluto che siano diverse.
Papa Francesco rileva che «dietro a questo atteggiamento si nascondono il rifiuto dell’etica e il rifiuto di Dio. All’etica si guarda di solito con un certo disprezzo beffardo. La si considera controproducente, troppo umana, perché relativizza il denaro e il potere. La si avverte come una minaccia, poiché condanna la manipolazione e la degradazione della persona».[5]
Infatti, negli ultimi decenni sono state le banche a estendere il credito, il quale ha generato una grande quantità di moneta, che a sua volta provoca in modo inarrestabile l’espansione del credito. Di conseguenza, il sistema economico è stato totalmente spinto verso la spirale inflazionistica, che ha frenato il rischio sostenibile per gli Istituti di Credito, sottoposti come sono al pericolo del fallimento.
Nel secolo scorso, dagli anni Novanta in poi, la moneta e i titoli di credito a livello globale sono aumentati, dunque, vorticosamente in maniera molto più rapida rispetto alla produzione del reddito. Questo ha, allora, originato la formazione di sacche eccessive di liquidità e la proliferazione di forti speculazioni.
Una prima crisi si era già verificata sui prezzi del petrolio negli anni Settanta fino ai primi anni Ottanta. In seguito si sono poi verificate o sono state provocate una serie di crisi in molti Paesi in via di sviluppo. Si pensi, ad esempio, alla prima crisi del Messico negli anni Ottanta o a quella del Brasile, della Russia e della Corea, quindi, di nuovo, a quella del Messico negli anni Novanta, della Thailandia e dell’Argentina.
La medesima esplosione speculativa sugli immobili e la recente crisi finanziaria hanno la loro origine nell’eccessiva moneta e nei troppi strumenti finanziari a livello globale. Mentre la crisi nei Paesi in via di sviluppo ha rischiato di coinvolgere il sistema monetario e quello finanziario globale. In particolare, la crisi scoppiata nel 2008 – assai dirompente rispetto a quelle precedenti – viene generata negli Stati Uniti, che è un’area molto importante per l’economia e la finanza mondiale, coinvolgendo pesantemente la moneta, a cui fa capo la stragrande maggioranza degli scambi internazionali.
La conseguenza di tutto questo sull’«economia reale» – nazionale e mondiale – è, dunque, disastrosa – in primo luogo sull’edilizia –, diffondendosi in questo modo un’inarrestabile tendenza negativa sulla produzione e sul commercio, i cui riflessi sono gravi sull’occupazione e i cui effetti non se ne conoscono ancora la portata.
I costi per milioni, anzi per miliardi di persone, nei Paesi così detti sviluppati e in quelli in via di sviluppo, sono pesanti. Oltre un miliardo di persone, in aree in cui mancano i beni più elementari della salute, del cibo e del riparo dalle intemperie, sono costrette a sopravvivere con un reddito medio di poco più di un dollaro il giorno.
Papa Francesco osserva che «alcuni semplicemente si compiacciono incolpando i poveri e i paesi poveri dei propri mali, con indebite generalizzazioni, e pretendono di trovare la soluzione in una “educazione” che li tranquillizzi e li trasformi in esseri addomesticati e inoffensivi. Questo diventa ancora più irritante se gli esclusi vedono crescere questo cancro sociale che è la corruzione profondamente radicata in molti Paesi – nei governi, nell’imprenditoria e nelle istituzioni – qualunque sia l’ideologia politica dei governanti».[6] Perciò sono aumentate enormemente le disuguaglianze all’interno dei Paesi e tra i Paesi.
Che cosa dire, dunque, di uno sviluppo così aberrante e drammaticamente disuguale?
Per questa ragione anche noi, in un momento storico come questo, in un Mondo di ricchi sempre più ricchi e di poveri sempre più poveri, ci troviamo nella lista di attesa per il gratuito acquisto della povertà!
Benedetto XVI, a questo proposito, ci aveva ricordato molto bene: «L’esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà».[7] Senza dubbio abbiamo voluto, in questi anni, organizzare la terra senza Dio, ma senza Dio non possiamo alla fine che organizzarla contro l’uomo, causando «un umanesimo [fortemente] inumano».[8]
Non è, dunque, un caso che il Fondo Monetario Internazionale abbia riconosciuto nel 2007, nel suo Rapporto Annuale, la stretta connessione tra il processo di globalizzazione non adeguatamente governato da un lato – solo apparentemente, dico e preciso “solo apparentemente non adeguatamente governato dall’alta finanza mondiale” – e le forti disuguaglianze a livello mondiale dall’altro, comunque occultamente provocate.[9]
Oggi, in ogni caso, i moderni mezzi di comunicazione ci evidenziano le forti e le ingiuste disuguaglianze economiche, sociali e culturali, che accadono a livello globale, generando imponenti movimenti migratori.
Tuttavia, che cosa ha spinto il Mondo in questa complicata direzione?
Anzitutto un liberismo economico apparentemente senza regole e senza controlli, quindi un liberismo economico, che è stato, certamente, voluto. Si tratta, cioè, di un’ideologia economica che stabilisce a priori le leggi del funzionamento del mercato e dello sviluppo economico senza tener conto delle persone e dei popoli, cercando di subordinare i Paesi a un’unica volontà.
L’effetto devastante di questa ideologia, soprattutto negli ultimi decenni del secolo scorso e nei primi anni del nuovo secolo, ha causato lo scoppio di una grave crisi, in cui il Mondo e l’Italia si trovano tuttora immersi. Pertanto, «così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e dell’iniquità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è iniquità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”».[10]
Dunque «la ricerca esclusiva dell’avere diventa […] un ostacolo alla crescita dell’essere […]: per le nazioni come per le persone, l’avarizia è la forma più evidente del sottosviluppo morale».[11]
III. Il ruolo della tecnica e la sfida morale
Il grande sviluppo economico degli ultimi Trent’anni è nato soprattutto per il grande sviluppo della tecnica e per l’enorme progresso dell’informatica sull’economia e, in primo luogo, sulla finanza. Anzi, Benedetto XVI, a questo proposito, ha affermato che «lo sviluppo dei popoli degenera se l’umanità ritiene di potersi ri-creare avvalendosi dei “prodigi” della tecnologia. Così come lo sviluppo economico si rivela fittizio e dannoso se si affida ai “prodigi” della finanza, per sostenere crescite innaturali e consumistiche».[12] Perciò, per comprendere la nuova questione economica, occorre non fare l’errore di pensare che i problemi siano di ordine solo tecnico.
Di conseguenza, bisogna mettere in guardia contro i pericoli dell’ideologia tecnocratica, che «tende a produrre un’incapacità di percepire ciò che non si spiega con la semplice materia»,[13] e di non considerare il valore insostituibile delle scelte della persona umana, che, in questo preciso momento storico, si trova comunque a operare nel sistema economico-finanziario.
«In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo.».[14]
Nell’ambito di una grande complessità dei fenomeni finanziari i fattori morali, dunque, non possono essere né trascurati né sottostimati. La crisi ha, di fatto, dimostrato, a ognuno di noi, i comportamenti di egoismo, di cupidigia collettiva e di accaparramento di beni materiali, senza alcun scrupolo morale, su grande scala mondiale. Nessuno di noi, perché cristiano, può rassegnarsi a vedere l’uomo vivere come un lupo divoratore di ogni altro uomo –“Homo homini lupus”[15] –.
«I popoli poveri non staranno mai troppo in guardia contro questa tentazione, che viene loro dai popoli ricchi, i quali offrono troppo spesso, insieme con l’esempio del loro successo nel campo della cultura e della civiltà tecnica, un modello di attività tesa prevalentemente alla conquista della prosperità materiale»,[16] in cui l’uomo vive come un lupo divoratore di ogni altro uomo.
Nessuno, in coscienza, può accettare lo sviluppo di alcuni Paesi a scapito di altri Paesi.
Se non si pone il rimedio alle varie forme d’ingiustizia gli effetti negativi sul piano sociale, politico ed economico, sono destinati a provocare un clima di paurosa ostilità e perfino di crescente violenza, sino a sconvolgere le basi delle Istituzioni democratiche, provocando l’infelice insaturazione di un’Autorità pubblica Mondiale, cioè di una dittatura Mondiale.
Già nel 1991, dopo il fallimento del collettivismo marxista, Giovanni Paolo II aveva messo in guardia nei confronti di «un’idolatria del mercato, che ignora l’esistenza dei beni che […] non sono né possono essere semplici merci».[17] Ci sono esigenze umane importanti, che sfuggono alla logica del mercato, per cui occorre senz’indugio imboccare una strada più in sintonia con la dignità della persona umana.
IV. Il governo della globalizzazione
Nel faticoso cammino cristiano verso una famiglia umana più fraterna Giovanni XXIII, nella sua profetica Lettera Pacem in terris del 1963, aveva avvertito che il Mondo si era avviato verso una sempre maggiore unificazione. Nello stesso tempo egli si rendeva conto che l’organizzazione politica non aveva più come obiettivo, su di un piano mondiale, il bene comune universale.[18] Di conseguenza, auspicava la creazione, un giorno, di «un’Autorità Pubblica Mondiale».[19]
Inoltre, in questo preciso momento, il Sistema Economico–Finanziario Mondiale non è a servizio dell’economia reale e tanto meno del bene comune. Anzi, adesso, la cultura tecnocratico-tecnologica della Finanza Mondiale, di quei pochi, contesta e si accinge a mettere fuori gioco tutto il presente e tutto il passato cristiano che è appunto l’umanesimo cristiano. La novità tecnocratico-tecnologica della Finanza Mondiale, artifizio dei pochi illuminati, è di non voler realizzare una nuova epoca a servizio dell’uomo e dei popoli, ma di attuare una brutta e malvagia era della storia umana: e cioè, l’Era della Scienza Applicata a uso e consumo dei pochi e a danno invece dei molti, attuando, quindi, un’Autorità Pubblica Mondiale.
Tuttavia un’Autorità Pubblica Mondiale di che genere può essere e in che modo si può realizzare?
Paolo VI, nella Lettera Populorum progressio del 1967, aveva profetizzato un’Autorità Pubblica Mondiale all’interno di un ordine giuridico riconosciuto da tutti gli uomini e da tutti i popoli. «La vostra vocazione – [egli consiglia]va ai rappresentanti delle Nazioni Unite a New York – è di far fraternizzare, non già alcuni popoli, ma tutti i popoli … Chi non vede la necessità di arrivare in tal modo progressivamente a instaurare un’autorità mondiale in grado d’agire efficacemente sul piano giuridico e politico?».[20] Lo stesso Benedetto XVI, nel solco tracciato dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII nel 1963 e dalla Populorum progressio di Paolo VI nel 1967, ha sottolineato la necessità di costituire un’Autorità Politica Mondiale.[21]
Però, come e in che modo?
Lo scopo di tale Autorità Pubblica Mondiale dovrebbe essere, anzitutto, quello di servire il bene comune, dotandosi di strutture e di meccanismi a servizio di tutti gli uomini e di tutti i popoli.
Ma è proprio quello cui si vuole arrivare? Sembra di no.
In realtà, nel Mondo Globalizzato attuale, conducendo i popoli a essere sempre più interconnessi e a essere sempre più interdipendenti, ha mostrato il peso degli interessi dei pochi a danno dei molti, tra cui l’esistenza di mercati monetari e di movimenti finanziari internazionali a carattere fortemente speculativo, dannosi per l’economia reale e, dunque, per il nostro stesso Paese, mentre l’Autorità Pubblica Mondiale, che si cerca ora di instaurare in nome di una pace sociale mondiale, ha come obiettivo di privilegiare solo alcuni gruppi o alcune lobby private sovranazionali.
Infatti, «la pace sociale non può essere intesa come irenismo o come una mera assenza di violenza ottenuta mediante l’imposizione di una parte sopra le altre. Sarebbe parimenti una falsa pace quella che servisse come scusa per giustificare un’organizzazione sociale che metta a tacere o tranquillizzi i più poveri, in modo che quelli che godono dei maggiori benefici possano mantenere il loro stile di vita senza scosse mentre gli altri sopravvivono come possono. Le rivendicazioni sociali, che hanno a che fare con la distribuzione delle entrate, l’inclusione sociale dei poveri e i diritti umani, non possono essere soffocate con il pretesto di costruire un consenso a tavolino o un’effimera pace per una minoranza felice. La dignità della persona umana e il bene comune stanno al di sopra della tranquillità di alcuni che non vogliono rinunciare ai loro privilegi».[22]
Come può essere possibile questo irenismo o falsa pace?
È stato possibile ed è possibile perché c’è stata l’eclisse della cultura umanistica cristiana a causa del trionfo della tecnica in un Mondo Globalizzato, che si sta pienamente realizzando proprio in questo determinato momento storico. E se oggi c’è un piccolo spazio per la cultura umanistica cristiana perché, forse, ci sono dei sopravvissuti o alcuni rari testimoni di una fede autentica evangelica. Purtroppo, nel Mondo Globalizzato, il trionfo della tecnica non avviene immergendosi e cooperando dialetticamente con “il già esistente”, cioè la cultura umanistica cristiana, bensì distruggendola. Per di più, in un Mondo Globalizzato il trionfo della tecnica, imponendo arbitrariamente un’Autorità Pubblica Mondiale, non si sta concretando come una promessa di liberazione, ma come una certezza di schiavitù!
Pertanto, noi ci troviamo ora alle origini di quella che sarà probabilmente la più brutta epoca della storia dell’uomo: l’epoca dell’alienazione finanziaria.
Il mondo si è incamminato per una strada orribile: il neocapitalismo illuministico, che è appunto il collettivismo materialista e che, in realtà, è il più duro e più feroce che mai.
Benedetto XVI ci ha ricordato che su questa strada «il diritto internazionale, nonostante i grandi progressi compiuti nei vari campi, rischi[a] di essere condizionato dagli equilibri di potere tra i più forti».[23]
Perciò, se la diversità dei Paesi sul piano delle culture, delle risorse materiali e delle memorie spirituali, delle condizioni storiche e di quelle geografiche, sono calpestate e non sono per nulla rispettate, se prende sempre più piede il consenso forzato per il bene di pochi contro il consenso convinto per il bene dei molti, se non nasce una nuova comunione morale della Comunità Mondiale, s’indebolirà la pace e s’innescherà una guerra in tutto il sistema terra-acqueo. «La pace “non si riduce ad un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. La pace si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini”. In definitiva, una pace che non sorga come frutto dello sviluppo integrale di tutti, non avrà nemmeno futuro e sarà sempre seme di nuovi conflitti e di varie forme di violenza».[24]
Ciò nonostante si vuole un’Autorità dall’orizzonte planetario, che è e sarà, probabilmente, impostata con la forza e che non è e non sarà certamente il frutto di un accordo libero e responsabile tra i popoli, ma il frutto di coercizione e di violenze;[25] un’Autorità dall’orizzonte planetario che non vuole, perciò, sorgere da un processo di maturazione progressiva delle coscienze e delle libertà.
Di conseguenza, la volontà di pochi, quei pochi potenti e illuminati, emargina un sempre maggior numero di Paesi, non tenendo conto delle opinioni minoritarie, e nello stesso tempo sono sempre più tralasciati, perché considerati superflui, i principi morali, quali: la fiducia nella vita, la dignità della persona umana e la libera autodeterminazione dei popoli.
L’Autorità Pubblica Mondiale non permetterà, per nulla, la libera autonomia della persona umana e la libertà dei popoli, ma cercherà, invece, il loro occulto annientamento.
V. Verso quale sistema sociale mondiale?
La prima prospettiva.
In materia economica e finanziaria si va verso un sistema di governo mondiale dell’economia e della finanza.
Che dire di questo, dunque?
Con riferimento all’attuale sistema economico e finanziario mondiale si devono rilevare due fattori decisivi: il primo fattore è stato il venire meno dell’efficienza delle Istituzioni di Bretton Woods, che fin d’ora hanno regolato la politica monetaria internazionale. In particolare, il Fondo Monetario Internazionale, che oramai non regola più il flusso della moneta e non è in grado di vegliare sull’ammontare di rischio del credito. In definitiva, non possediamo un «bene pubblico universale», che è la stabilità del sistema monetario mondiale. Ne conseguirà, molto presto, l’inizio della nostra povertà.[26]
Il secondo fattore è costituito, da un lato, dall’abrogazione generalizzata dei controlli sui movimenti dei grossi capitali e dalla tendenza a non regolare le attività bancarie e finanziarie;[27] dall’altro, dal grande progresso della tecnica finanziaria agevolata dagli strumenti informatici. Di conseguenza, gli orientamenti strategici della politica economica e finanziaria – nei Paesi più forti – si sono sempre più sviluppati all’interno dei club e dei gruppi di potere. Pertanto, si è così passati dal Gruppo dei 7 al Gruppo dei 20.
Inoltre gli stessi leader del Gruppo dei 20, nella Dichiarazione finale di Pittsburgh del 2009, programmarono, per risolvere la crisi e iniziare una nuova era «della responsabilità», la «riforma dell’Architettura Globale per fare fronte alle esigenze del Ventunesimo secolo»; e, quindi, la riforma di «un quadro che consenta di definire le politiche e le misure comuni per generare uno sviluppo globale solido, sostenibile e bilanciato».[28] In breve: solo la crescita economica, attraverso “il dominio” di un’Autorità Pubblica Mondiale, potrà migliorare la vita degli esseri umani. Quindi le misure economiche, che sono già state compiute, furono concepite quali primi passi per il dominio di un’Autorità Pubblica a competenza universale: come Dux – ossia il Duce –, che salverà il Mondo.
La seconda prospettiva.
C’è stato più volte detto che lo sviluppo si deve fermare per salvare la terra: mal ridotta dallo sfruttamento umano. Nello stesso tempo c’è stato più volte detto che solo lo sviluppo può salvare il nostro benessere, oberato com’è dai debiti. Però, in noi, questa contraddizione – sviluppo sì, sviluppo no – può diventare dilaniante per l’emotività ed esasperante per la ragione.
In un processo così contradditorio e disumano occorrerà, comunque, recuperare il primato dello spirituale sulla materia. Ma come?
Il “popolo” italiano in questi ultimi cinquant’anni è stato intaccato da un corpo estraneo, che lo ha tramortito. Questo corpo così estraneo, il materialismo, è entrato nella nostra storia non di sua iniziativa, ma spintovi come un peso morto. Tuttavia con la vicenda millenaria del mondo dei contadini di una volta, lo sviluppo del materialismo economico e finanziario non ha nulla a che vedere, e cioè, questo continuo correre senza mai fermarsi, lo stravolgimento di ogni equilibrio e il brutale imbestialirsi degli uomini.
Ciò nondimeno il popolo italiano aveva una sua storia ma ora che cosa ha?
Allora la campagna – i campi arati con le file degli alberi lungo i fossi, il fango bianco intorno ai gelsi appena potati, gli argini ancora verdi sulle rogge asciutte – rappresentava la certezza di una continuità con le origini del mondo umano, che valorizzava, fino a dar loro il carattere quasi di un rito, ogni nostro minimo gesto e ogni nostra parola. La campagna, in quel tempo, raffigurava ai nostri occhi lo spettacolo di un mondo autentico. E ora?
Tutto sembra falsato mentre il materialismo rimane quale unica possibilità per essere felice. Il mondo dell’economia con “il dominio” tecnocratico-tecnologico ha da sempre disprezzato i contadini considerati fuori dalla storia, perché i club e i gruppi del potere illuminato dell’economica sono la storia e solo nella storia si può consumare il destino dell’umanità.
In ogni caso la visione del mondo contadino, che ancora teniamo nel cuore, non può mai essere scalfito dall’imponente onda storica del potere e del dominio economico, che tutto vuole distruggere. Tuttavia, sono forse questi gli ultimi giorni o gli ultimi anni dei campi arati con le file dei alberi lungo i fossi e del fango bianco intorno ai gelsi appena potati, degli argini ancora verdi sulle rogge asciutte.
Un nuovo tempo sta, forse, riducendo “a non essere mai più” tutto questo mondo di armonia e di equilibrio con noi stessi, con gli altri e con la terra, che ognuno di noi ha da sempre amato quanto la nostra stessa vita. Possiamo, perciò, già da adesso piangerlo?
Intanto bisogna dire che il boom economico non ha portato il benessere a tutti, il Sud del Mondo è stato ancor più penalizzato e, se intorno alle borgate delle città c’era la campagna, ora ci sono gli orrori edilizi. Un’orrenda Nuova Preistoria è perciò la condizione imposta dal neocapitalismo finanziario per la fine di un mondo, ora agonizzante? Nel frattempo, il dominio tecnocratico-tecnologico, lungo la linea del materialismo, ha disseccato in molti cuori il germe dell’umanesimo cristiano.
Tuttavia, ciò che ci sconvolge non è la difficoltà di adattarsi a un nuovo tempo, bensì un dolore simile a quello che dovevano provare le madri vedendo partire i loro figli per la guerra, sapendo che non li avrebbero mai più visti. Un dolore quasi inguaribile, però questo di ora, che sembra lanciare su di noi uno sguardo di vittoria, in un modo intollerabile e insopportabile.
Mostruoso, in ogni caso, sarà il dominio di un’Autorità Pubblica Mondiale, che nascerà forse da una storia che è già morta, senza radici, ricominciante da zero. Eppure, i valori, che contavano nel nostro universo contadino, sono stati: l’Italia, la Chiesa, la famiglia e la moralità. Tali valori erano “reali”, appartenevano, cioè, alle culture particolari dell’Italia agricola formata da paesi e contrade.
Intanto il dominio di un’Autorità Pubblica Mondiale, non ci può essere alcun dubbio, porterà o sta già portando, attraverso una grande sofferenza di ognuno di noi e di tanti, il ritorno alla povertà.
Ciò nonostante, in contraddizione con tutto quello che si può pensare, la povertà non è affatto il male peggiore. Anzi, la povertà non è una disgrazia, ma la condizione sublime,[29] che ci può far riscoprire la bellezza delle piccole cose, il dialogo, il vero amore, l’onestà, la sincerità e l’amicizia della terra con il Cielo.
Il male peggiore è e rimane invece la miseria del benessere materiale, che imbruttisce la religione, la cultura, la società e il nostro animo.
Pertanto, solo chi tra di noi vuole restare un fedele testimone della vita e non della morte – docile strumento dello Spirito di Dio –, potrà comprendere tutto questo e conservare nel suo animo la pace, mentre il nuovo Potere manipolatore sta divenendo il più violento e totalitario che mai ci sia stato: esso forse cambierà la stessa natura di buona parte della gente, entrando nel più profondo delle coscienze.
Nel frattempo, invece di una libera scelta della nostra coscienza, si sta forse ora insinuando una scelta di costrizione, forzata, coatta, che deformerà la nostra dignità di uomini?
Paupisi, 21/07/2014 don Raffaele Pettenuzzo
Note
[1] Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 21.
[2] Leaders’ Statement, The Pittsburgh Summit, September 24-25, 2009.
[3] Gaio Svetonio Tranquillo, De vita Caesarum.
[4] Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 34.
[5] Francesco, Evangelii gaudium, n. 57.
[6] Id., n. 60.
[7] Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 21.
[8] Cf. H. De Lubac, Le drame de l’humanisme athée, Spes, Paris 1945, p. 10.
[9] Cf. International Monetary Fund, Annual Report 2007, p. 8 e ss.
[10] Francesco, Evangelii gaudium, n. 53.
[11] Paolo VI, Populorum progressio, n. 19.
[12] Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 21.
[13] Id.
[14] Francesco, Evangelii gaudium, n. 54.
[15] “Lupus est homo homini”. (Plauto, Asinaria, a. II, sc. IV, v. 495). “Homo homini lupus”. (Thomas Hobbes, Leviatano).
[16] Paolo VI, Populorum progressio, n. 41.
[17] Giovanni Paolo II, Centesimus annus, n. 40.
[18] Giovanni XXIII, Pacem in terris, n. 70.
[19] Cf. id. nn. 71–74.
[20] Paolo VI, Populorum progressio, n. 78.
[21] Cf. Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 67.
[22] Francesco, Evangelii gaudium, n. 218.
[23] Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 67.
[24] Francesco, Evangelii gaudium, n. 219.
[25] Pertanto, «il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno. Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro proprie potenzialità. Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti». (Id., n. 236).
[26] «Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società. La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di un’economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo». (Id., n. 55).
[27] «Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale,
che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto. A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali. La brama del potere e dell’avere non conosce limiti. In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta». (Id., n. 56).
[28] Leaders’ Statement, The Pittsburgh Summit, September 24–25, 2009.
[29] «Nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri, tanto che Egli stesso “si fece povero” (2 Cor 8,9). Tutto il cammino della nostra redenzione è segnato dai poveri. Questa salvezza è giunta a noi attraverso il “sì” di una umile ragazza di un piccolo paese sperduto nella periferia di un grande impero. Il Salvatore è nato in un presepe, tra gli animali, come accadeva per i figli dei più poveri; è stato presentato al Tempio con due piccioni, l’offerta di coloro che non potevano permettersi di pagare un agnello (cfr Lc 2,24; Lv 5,7); è cresciuto in una casa di semplici lavoratori e ha lavorato con le sue mani per guadagnarsi il pane. Quando iniziò ad annunciare il Regno, lo seguivano folle di diseredati, e così manifestò quello che Egli stesso aveva detto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; perché mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio” (Lc 4,18). A quelli che erano gravati dal dolore, oppressi dalla povertà, assicurò che Dio li portava al centro del suo cuore: “Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio” (Lc 6,20); e con essi si identificò: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare», insegnando che la misericordia verso di loro è la chiave del cielo” (cfr Mt 25,35s)». (Francesco, Evangelii gaudium, n. 197).
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