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Il Selfie del Cardinal Cottier

Il libro presentato nella Sala Marconi della Radio Vaticana


Nel dicembre 2014 la casa editrice Cantagalli ha pubblicato un libriccino di poco più di cento pagine che affronta con leggerezza a profondità molti dei quesiti che oggi sono all’attenzione di quanti – cattolici e non – si interrogano oggi sulla situazione reale della Chiesa, e sul significato della sua azione alla luce delle conseguenze del Concilio Vaticano II. Il libro, dal titolo “Selfie: Dialogo sulla Chiesa con il teologo di tre Papi”, è presentato sotto forma di una lunga intervista al Cardinale George Cottier, ben noto teologo domenicano, condotta dalla giornalista Monica Mondo.
Il libro è stato presentato la scorsa settimana presso la Sala Marconi della Radio Vaticana alla presenza dei due autori, e con un tavolo di presidenza che vedeva insieme - oltre al Card. Cottier – i teologi Mons. Marcelo Sanchez Sorondo (Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali) e il Prof. Philippe Chenaux (docente alla Pontificia Università Lateranense), e alcuni giornalisti : Enzo Romeo, Ignazio Ingrao e Gianni Valente.
Certo, il progetto appare ambizioso: affrontare cinquant’anni di storia della Chiesa in poche pagine implica correre il rischio di parlare di tutto e di niente, come ha sottolineato il Card. Cottier stesso.  Ma questo rischio viene superato facilmente quando esiste un filo conduttore ben preciso, ben individuato: la convinzione che i grandi Papi della seconda metà del XX secolo che il card Cottier ha conosciuto bene hanno tutti avuto come programma l’espplicitazione e la realizzazione del Concilio Vaticano II, che era stato voluto da S. Giovanni XXIII come “aggiornamento”, e di cui il principale “artigiano” (per usare una felice espressione di George Cottier) è stato Paolo VI.
E’ infatti attraverso una serie di atti di primaria importanza compiuti da Paolo VI – primo fra tutti l’ enciclica “Ecclesiam Suam” dell’agosto 1964 - che la Chiesa ha veramente incominciato a prendere coscienza di sé e del suo ruolo alla fine del millennio, esplicitando la propria vocazione al dialogo. Ossia, la Chiesa è per sua natura evangelizzatrice e missionaria, e proprio per questo il dialogo le è connaturato: in sostanza, il dialogo è in funzione della trasmissione del messaggio evangelico (un messaggio che non è nostro, umano, ma è di Dio), che pone la “persona” al centro. Infatti, come ribadisce il Card. Cottier, il Cristianesimo non si rivolge alle masse intese come un tutto indifferenziato, bensì alle persone. Ed è per questo anche che non bisogna mai dimenticare che la Verità non si impone se non in forza della Verità stessa.
Il primo frutto di questa presa di coscienza è stato evidenziato, secondo il Card. Cottier, dall’incontro di Assisi con cui Giovanni Paolo II ha reso universale la preghiera per la pace nel mondo, riprendendo e amplificando la strada già aperta da Paolo VI con il suo storico discorso alle Nazioni Unite nel 1964.
Un altro tema fondamentale che il Concilio Vaticano II ha reso di pubblico dominio e su cui la Chiesa si misura continuamente, con un significativo cambio di prospettiva rispetto al periodo preconciliare, è il senso della “santità”. Il Concilio infatti ha reso chiaro che la prospettiva della santità vale per tutti, e non solo per pochi eletti, e che le vie alla santità sono molteplici: quindi è questo il senso  delle numerose aperture di processi di canonizzazione di laici sposati portati avanti da Giovanni Paolo II.  Nel 2000 quando, a chiusura del Giubileo, fu pubblicata la “Novo Millennio ineunte” il pontefice - per così dire - chiude il cerchio sul tema della santità.  Sicché, da un lato il cristiano è di per sé chiamato alla santità: però i cristiani sono peccatori. E’ qui una delle contraddizioni di cui siamo ben consapevoli: la Chiesa è santa, ma i peccatori fanno parte della Chiesa. Un paradosso che era ben presente a Paolo VI quando aveva scritto la sua esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi”, alla cui stesura aveva partecipato anche Karol Woiti?a: paradosso che, però, non inficiava la necessità che qualsiasi credente sia chiamato a testimoniare e diffondere la buona novella del Vangelo. Sostanzialmente, il cristiano ha la “responsabilità della parola”.
Giovanni Paolo II riparte da qui per la “Tertio Millennio adveniente” (1994), il cui senso sta nel fatto che, se non siamo testimoni, la nostra parola è scandalo. Questo spiega quindi la necessità di chiedere perdono pubblicamente a Dio per i peccati del passato della Chiesa, e ci riporta al fatto che la santità non deve costituire un fatto straordinario.
Nelle poche pagine sono affrontati però anche tanti altri temi: la Grazia, il superamento del binomio ragione/fede, il confronto con la rivoluzione sessuale e le sue conseguenze, le aperture ecumeniche e in particolare il dialogo con l’ebraismo, il ruolo della donna nella Chiesa, i temi scottanti della bioetica, il sensus fidei, la pratica dei pellegrinaggi, il significato della bellezza, etc.
Le parole del Card. Cottier sono sempre attente e misurate, anche se egli non si sottrae alle domande poste dall’intervistatrice. Per tutte le domande c’è una risposta, in cui la libertà e l’acume del pensiero (Cottier è allievo di Maritain e di Journet)  sono sempre congiunti all’obbedienza al Magistero della Chiesa, in pieno spirito di servizio alla Verità.
Il libro è scritto con mano leggera ed è di lettura solo apparentemente facile e scorrevole: quello contro cui quest’uomo di novantatré anni, dallo sguardo limpido e dal sorriso mite, ci mette in guardia alla luce della sua incredibile e lunga esperienza di “teologo di tre Papi”, è l’atteggiamento odierno secondo cui “il mondo si spiega meglio senza Dio, o ipotizzando un divino che è l’universo stesso”.  “Oggi la presunzione di poter gestire tutto e tutti, con un’aggressività che non si ritrae neppure davanti al mistero della vita umana, rende l’uomo più infelice, arido e solo”.
Ma il senso della storia della creazione non va in questa direzione. Come il percorso del libro ci ricorda, “abbiamo la certezza che [la percezione che l’uomo ha di sé a seguito dell’Incarnazione] è un dono irreversibile”. L’ultima parola, quindi, è più che una speranza: una certezza.

Maria Antonietta Fontana

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